Subito dopo le Gallerie dell’Accademia, che è uno dei miei rifugi preferiti a Venezia, mi imbatto in un piccolo totem con l’immagine di due gentiluomini su fondo scuro e così scopro Palazzo Cini.
Una casa museo voluta da Yana Cini Alliata per conservare tutto il bello accumulato con “furore faustiano” da suo padre, Vittorio Cini.
Teste strane e portantine inquietanti.
Al primo piano ci sono opere che vanno dai primitivi (tavole su fondo oro) al Rinascimento (c’è anche Romanino, un bresciano e il mio “patriottismo” esulta).
C’è un Piero della Francesca con una Madonna ieratica, quasi perfida, e un bimbo un pò impettito e rigido, ma dagli azzurri onirici. Chissà cosa ha usato per ottenere quel colore?
E poi c’è un Cosmé Tura un pò meno “bizzarro” del solito a cui fa da rimpallo, comunque una “Madonna con bambino e santi” di tale Michele Pannonio, proveniente dall’Ungheria (Pannonio appunto), con delle teste dalle forme, ecco diciamo così, inusuali. Boh?! Sarà frutto di rifacimenti poco ortodossi? Possibile che chi ci ha messo mano non se ne sia davvero accorto?
Senza voler parlare della portantina del Settecento napoletano dalle pareti in cuoio dipinte: mi perdo a pensare a chi ci possa essere salito per farsi trasportare in giro per Napoli.
Mi sarei sentita davvero a disagio, io, lì sopra almeno per due ragioni:
- I 4 disperati costretti a trasportarmi si renderano conto di ogni mia oscillazione di peso, terribile idea
- Come sparire tra la folla in quella cosa lì? Già il fatto di stare in una portantina mi fa svettare tra la gente, con poi i vetri per vedere e, quindi, essere visti, non c’è davvero la minima privacy.No, no no…non sarebbe stato il mio mezzo preferito.
Meglio camminare e confondersi in mezzo alla calca vociante, no?
Saponette e stelline nel pozzo
Al secondo piano, invece, si entra nel regno del “io l’arte contemporanea non la capisco”. C’è un ‘esposizione di Ettore Spalletti con pannelli dalle forme indefinite (sembrano rettangoli, ma manca un angolo, quelle sono forse forme frattali, questo ha lo spessore della parte sotto maggiore rispetto alla parte sopra, etc) e dai colori pastello che vanno dal grigio all’azzurro fino al rosa.
Su una parete bianca c’è una forma ovaloide dorata: io la prendo per una maniglia, penso che l’artista abbia voluto sfidarmi a pensare a cosa potrebbe esserci dietro una porta bianca, non oso toccare la “maniglia”, ma che bella idea, no?
Errore: una graziosa signorina mi dice che “l’artista non ha voluto mettere indicazioni o note esplicative, ma quella è una saponetta coperta d’oro”. Sparita la magia.
Forse aveva ragione Shelley quando diceva che “Ignorance is bliss”, meglio la porta su universi paralleli della saponetta, no?
Siccome mi vede avvilita e delusa, la gentile ragazza mi fa vedere una stellina, una di quelle da libro delle favole dai 3 ai 5 anni, tutta dorata, minuscola nascosta nella parte interna di un cilindro cavo sul cui fondo c’è acqua.
La stellina sta sola e nascosta sulla parete.
Secondo me, mi ha segnalato la stellina per pietà, della stellina intendo: esserci e non esser mai vista non deve essere facile, no?
Almeno così qualcuno la riesce a ammirare.
Esco con una domanda che so essere destinata a restare senza risposta: “Perchè la fai difficile?”
Innegabilmente l’arte moderna e contemporanea risulta più complessa e meno di immediata lettura di quella antica, vuoi perchè a scuola raramente si studia bene quella antica, figuriamoci quella moderna e contenporanea, vuoi che se mi disegni una Madonna o una Venere, io capisco subito cosa sto guardando, mettici altre mille ragioni.
Ora, però, perchè vuoi rendermela ancora più difficile privandomi di una nota con due righe in cui mi dici il nome della tua opera?
Lo fai apposta? Mi vuoi sfidare? Oppure manco ci hai pensato a dare un nome alla “creatura”?
Una mia amica sostiene che la nuova arte serve per aprire interrogativi, farsi domande. Io aggiungerei anche: restare senza risposte.
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